Ciao Khadim, che cosa significa il tuo nome?

Il mio nome, Khadim, deriva dal patrono della mia città, un saggio religioso, che è stato chiamato Khadim Rasoul, cioè Fedele del Profeta.
Quindi il mio nome in italiano significa Fedele.

Cosa rispondi se ti chiedono da dove vieni?

Dipende… Solitamente rispondo che vengo da Bientina, il paesino dove abito, in provincia di Pisa. Tuttavia, se la domanda mi viene fatta da persone del posto, penso che intendano quale sia il mio Paese di origine, quindi, in questo caso, la mia risposta è: dal Senegal, più precisamente da Touba, la mia città.

In che lingua hai detto “ti amo” per la prima volta?

Penso in italiano, ma non ricordo bene, ero piccolo all’epoca.,

Ti senti legato alla tua città?

Sì, anche se non è la mia città italiana preferita, sono legato a Bientina, il mio paesino.
Della Toscana preferisco Firenze.

Ci sono luoghi della tua città che ti rappresentano?

Sì, c’è un paesino nelle vicinanze, che è molto frequentato dalla comunità senegalese, dove ci sono molti negozi e attività: è una piccola Senegal di Pontedera.

Invece ci sono luoghi che non senti per niente vicini a te?

Sì, alcuni paesini, nei dintorni, sparsi tra le colline, sono belli, ma sono un po’ “freddi”. La campagna qui è un po’ particolare, ci sono pochi stranieri, preferisco i paesi di campagna più multietnici.

Qual è il tuo piatto preferito?

Il pesto alla genovese.

Le persone a te più care condividono la passione per questo piatto?

Sì, in casa si cucina spesso con il pesto.

Sei contento di vivere in questo periodo storico? Ti senti appartenente alla tua generazione?

Sì, nonostante le difficoltà che viviamo e la paura di un futuro incerto, che è un problema comune a tutti i giovani che sono cresciuti in Italia, nati dopo gli anni Ottanta. Abbiamo comunque gli stessi sogni, le stesse difficoltà.
Ha poco senso pensare “se fossi nato in un’altra epoca, sarebbe stato meglio”, ogni periodo storico ha le sue particolarità e le sue difficoltà.
Quindi non sceglierei di vivere in un’altra epoca, nonostante ce ne possano essere
di migliori. Sono ottimista e fiducioso nei confronti dell’epoca in cui sto vivendo.

Come percepisci le differenze generazionali nella tua vita quotidiana?

In generale, venendo da un paese africano, con una cultura in cui le persone anziane spesso non sono open minded, è difficile parlare di certe tematiche o parlare della nostra visione moderna.
Una cosa, che noto in tutti gli anziani, è che a un certo punto si arriva a un momento della vita in cui non si ha più voglia di cambiare visione e ho paura che possa succedere anche a me.
I nostri genitori sono come i nonni dei nostri coetanei italiani, mentre noi forse saremo come i loro genitori, c’è uno step generazionale diverso, dettato anche dall’istruzione e dal contesto in cui si è vissuto.

Se ti dico “senso di appartenenza”, a cosa pensi immediatamente?

Alla cucina, a quello che uno preferisce mangiare. I gusti, anche dal punto di vista culinario, hanno un significato.
Amo molto la cucina del mio paese d’origine, però, se io abitassi da solo, cucinerei sempre italiano. Non potrei stare più di tre giorni senza mangiare la pasta.
Appartenenza per me significa in che lingua pensi ed io, avendo due bandiere nell’animo, collego il mio lato riflessivo all’essere Italiano, mentre quello più verace al mio essere Senegalese.
E non ho mai dato peso a chi dubitava della mia italianità e a chi invece in Senegal mi vedeva come un nero bianco.

Qual è il tuo sogno?

Vorrei diventare una persona migliore. Può essere un sogno banale, ma vorrei avere delle risorse che mi permettessero di viaggiare il più spesso possibile.
In futuro vorrei avere delle condizioni più stabili e poter stare più in Senegal. I miei genitori mi hanno sempre appoggiato nella mia ispirazione, ma forse vorrebbero che avessi più legami con il mio Paese d’origine.

Cos’è la diversità per te?

Ci sono differenze nel modo di pensare, nell’estetica, e così via. Tuttavia, a mio modo di vedere, ci sono più cose che accomunano i popoli rispetto a quelle che li rendono diversi.
E siamo migliori proprio per aver interagito con l’altro. Che sapore avrebbe avuto la cucina mediterranea se non avesse avuto la contaminazione araba?
La diversità rende il mondo meno noioso e mi dispiace per chi non la apprezza.

Secondo te, vivremmo meglio senza stereotipi?

Secondo me gli stereotipi catalogano le persone, ma in realtà siamo tutti differenti.
Sicuramente vivremo meglio senza di essi, così ognuno sarebbe libero di giudicare dopo aver vissuto o affrontato in prima persona le cose, senza pregiudizio.
La seconda generazione soffre molto gli stereotipi dovendo lottare e dimostrare ogni giorno di essere impeccabili.

Se potessi cambiare una caratteristica della società in cui vivi, quale cambieresti?

Cambierei il fatto che esistano categorie di uomini che contano meno, dal punto di vista legislativo. Perché Paolo può girare il mondo semplicemente con il passaporto, mentre Abdu deve richiedere un visto di tre mesi, che il più delle volte non gli viene concesso.
In alcuni paesi non si rispetta e non si preserva la dignità dell’uomo. Se non vieni rispettato nel tuo paese, perchè un altro stato lo dovrebbe fare? Io cercherei di trovare equilibrio e uguaglianza nel mondo.

Immaginati a 60 anni, saresti fiducioso nei confronti delle future generazioni?

Avranno sicuramente più informazioni a portata di mano rispetto a noi. Ma continueranno a vivere poco nella realtà, nella curiosità e nella conoscenza. Ho paura che penseranno che tutto quello che c’è in rete sia reale e non vadano alla ricerca della verità.
Saranno poche le persone in grado di utilizzare la manualità. Penso che i popoli attualmente considerati “indietro” riescano ad avere una riscossa su questo.

Concludi l’intervista con una frase che ti rappresenta.

Ti dico una frase mia. Nonostante sia cresciuto in un paese straniero, penso che non bisogna avere paura del futuro, guardando il passato. Dobbiamo sempre sognare e i sogni sono realizzabili, non esistono ostacoli!