Ciao Mamadou! Che cosa significa il tuo nome?

Mamadou è la versione “senegalizzata” del nome del profeta Mohammed.

E se ti chiedono specificatamente di che città sei?

Io vengo da Genova, sono genovese.

Domanda personale: in che lingua hai espresso i tuoi sentimenti ad una persona per la prima
volta, cioè, in che lingua hai detto “ti amo”?

In senegalese, in wolof. Il wolof è la lingua che parlo con le mie figlie che sono italiane. Mi sta a cuore che loro scoprano le radici dei genitori.

Ora ti farò alcune domande sulla tua appartenenza. Ti senti legato alla tua città?

Sì, ho un forte legame con Genova. Abito qui da vent’anni.

Ci sono luoghi della tua città che ti rappresentano o al contrario, che non senti per niente vicini a te?

Il centro storico di Genova è un posto che mi rappresenta. Secondo me è il cuore della città ed è un melting pot di gente e di nazionalità diverse. Cosa non mi rappresenta? Alcune istituzioni.

Qual è il tuo piatto preferito?

Mi piace il pesto alla genovese e piace anche alla mia famiglia e alle bambine. Io lo mangio pure la sera durante il Ramadan. Lo aggiungo nella pasta, lo metto sulla lasagna, nei ravioli. E devo dire che me la cavo nella cucina.

Come ti senti in questo periodo che stiamo attraversando, condizionato dal coronavirus e quant’altro? Senti di appartenere alla tua generazione e come ti poni rispetto alle cose che viviamo?

Io sono un infermiere e nel mio ambito posso dire che noi ci sentiamo protagonisti della situazione.
Penso che anche a livello generazionale sia così, siamo gli artefici del futuro, i protagonisti. Un contesto come quello del CoNNGi lo dimostra e penso che il coordinamento sia all’avanguardia. Siamo i primi a dire di essere proattivi e protagonisti di un cambiamento.

Se ti dico “senso di appartenenza”, a cosa pensi immediatamente?

Io appartengo a due mondi diversi. Sono italiano, ma anche africano. Sento di avere una doppia cultura e cerco di combinarle entrambe. Se mi concentro solo su una delle due, rischio anche di fare qualche gaffe. Mettere insieme questi miei due aspetti culturali mi permette di arrivare sempre ad un risultato efficace.

Sei contenta di vivere in questo periodo storico?

Sì, perché è un periodo che ci dà tante opportunità che magari prima non c’erano e ci dà la possibilità di esprimerci anche attraverso i social media, per esempio. Tuttavia, la libertà è sempre limitata: dove finisce la mia inizia quella di un altro individuo e questo ci sfugge di mano in alcuni casi.

Condivido quello che dici. È molto importante mantenere le nostre origini perché ci aiutano nella nostra quotidianità e nella comprensione di determinate realtà e situazioni. È utile e arricchente.

Sì, è limitante avere una sola visione del mondo, la pluralità aiuta.

Ti sei mai sentito “parte” di qualcosa?

Quando vado nella comunità dei senegalesi, per esempio per le celebrazioni, sento che sono dentro alla comunità. Ma poi cerco anche di uscire per vedere oltre. Quindi esco da quella che è una comfort zone.

Parlando di futuro, pensi di aver raggiunto il tuo obiettivo o hai un sogno nel cassetto per il
domani?

Il mio progetto per il futuro è creare un ponte tra l’Italia e il Senegal. Ho messo già le basi per fare questo e sono felice del fatto che anche la mia famiglia mi sostenga e mi accompagni in questo percorso. Con i miei familiari condivido tutto, tutti i miei pensieri.

Cos’è la diversità per te? Che valore ha?

È fondamentale nella vita. Noi siamo diversi. La diversità risolve i problemi..

Ricordi qualche particolare episodio in cui la diversità ti ha permesso di raggiungere un obiettivo o superare un ostacolo?

Certe volte faccio conferenze sull’intercultura o sul razzismo. Lì, nel discutere e ascoltare, vedo ogni volta che la diversità mi aiuta a comprendere veramente la complessità dell’essere umano.

Ti ha mai condizionato il pregiudizio? Come l’hai superato?

Sì, certo. Ti racconto un episodio di circa dieci anni fa. Ero con un gruppo di amici italiani, stavamo entrando in un locale, tra l’altro del circolo Arci. Mi videro e volevano impedirmi di entrare. “Perché?” dissi. “Perché ci sono i tuoi amici senegalesi che vengono qui e fanno casino”. Il giorno dopo scrissi una lettera al presidente dell’Arci che in seguito si scusò. Oggi, lavorando in ospedale, alcune volte mi capita di sentire discorsi pieni di pregiudizi, ma vado oltre. Non mi condizionano.Questo mi hanno insegnato i miei genitori: continuare per la propria strada nonostante le difficoltà. È quello che faccio come essere umano e come donna in questo bellissimo paese che è l’Italia.

Qual è un tuo pregio e un difetto?

Sono molto paziente con le persone, cerco di vedere sempre il lato positivo e di non fare polemiche.
Un mio difetto è non essere capace di ricordarmi i nomi. Ho una memoria fotografica: memorizzo le facce e le ricordo a lungo andare, ma i nomi proprio no.

Se potessi cambiare una tua caratteristica, quale sarebbe?

Non so cosa cambierei. In complesso, sento di trasmettere energie positive anche agli altri. Posso migliorare alcune cose di me, ma cambiare è diverso. Forse mi servirebbe qualcuno che mi indicasse cosa cambiare.

Ti capisco perché non è facile. Se dovessi cambiare qualcosa, non sarei più io.
Immaginandoti in un domani lontano, saresti fiducioso nei confronti della futura generazione che ora noi stiamo educando?

Sì, mi fido delle nuove generazioni. Penso che il cambiamento partirà da loro. È una mia speranza.

Siamo alla fine dell’intervista. C’è una frase che ti rappresenta?

Dirò una parola: positività.

Sempre positivo Mamadou!

Sì, penso che per poter essere migliori nei confronti degli altri, bisogna prima esserlo nei confronti di sé stessi. La positività è un lavoro perpetuale, si acquisisce nel tempo ed è un impegno enorme, siamo sempre in prova. Ma è un magnetismo che si trasmette.

Ti ringrazio molto! Mi metterò al lavoro per imparare a vivere con questa tua vena positiva.
È la cosa che mi porto a casa da questa intervista.